AVATAR

17 gennaio 2010 alle 13:03 | Pubblicato su Cinema | 4 commenti

Il fine primo del cinema è senza alcun dubbio l’intrattenimento e il pregio di questa bellissima forma d’arte è che è in grado di raggiungere questo suo scopo abbinandolo in qualche modo all’essenziale bisogno di spronare colui al quale è rivolto al confronto con temi importanti. Un cinema che riesce a raggruppare queste due essenziali caratteristiche diventa cinema nella sua forma più profonda e pura. Purtroppo siamo ormai abituati a dover scindere queste due qualità che raramente trovano contemporaneamente spazio nel medesimo prodotto cinematografico; a volte però l’eccezione ci infonde fiducia e ci fa sperare, seppur minimamente, in un futuro, cinematograficamente parlando, migliore. E’ questo il caso di AVATAR.

Dopo ben dodici anni dal suo ultimo lavoro (Titanic) James Cameron ci porta su Pandora, un pianeta molto lontano dalla terra, ricco di un minerale energetico molto raro e abitato da una popolazione aliena umanoide chiamata Na’vi. Jake Sully, ex-Marine paraplegico, accetta di partecipare al programma AVATAR che lo porterà sul suddetto pianeta e che inaspettatamente lo aiuterà ad intraprendere un cammino di redenzione e amore, ritrovandosi alla fine alla guida di una battaglia per la salvezza di una civiltà.

Avatar poster 1

La primissima cosa che viene in mente di scrivere commentando questo film è sicuramente l’aspetto tecnico che diventa mezzo con il quale raccontare una storia classica rigenerandola e dandole un volto mai visto prima. AVATAR, più che un semplice film, è un’esperienza sensoriale. La profondità con la quale si penetra nella storia, grazie alla realizzazione tecnica, è una cosa mai provata prima; il realismo degli elementi digitali, anche grazie al 3D, raggiunge vette prima d’ora inesplorate e dona consistenza fisica all’esperienza rimanendo nella mente più come un ricordo realmente vissuto che come semplice ricordo d’esperienza distaccata. L’utilizzo di tecniche sperimentali dà risultati eccezionali e configura un nuovo standard qualitativo con il quale confrontarsi in futuro. L’elemento stereoscopico raggiunge la sua massima espressione fino ad ora, rimane sempre al servizio della storia e non si perde in facili stratagemmi per conquistare il pubblico; lo schermo diventa così una finestra verso un altro mondo e gli occhiali polarizzati il veicolo tramite il quale attraversare questa finestra.

Il coinvolgimento emotivo è totale e in questo caso assume particolare rilevanza, oltre alla tecnica, la capacità narrativa del regista-sceneggiatore che riesce a raccontare una storia classica, termine ben diverso da banale, in modo innovativo e vincente nel saper semplificare ai minimi termini svariati argomenti complessi e importanti. Le critiche mosse alla storia non sono a parere mio condivisibili in quanto la linearità della trama diventa un pregio quando riesce comunque a trasmettere quei messaggi che si propone di approfondire. La mancanza di colpi di scena non rimane un difetto in quanto l’attenzione dello spettatore rimane costantemente molto alta per tutta la durata del film grazie all’interesse che si crea per la causa portata avanti dal protagonista e per l’affetto che si genera per i personaggi. I personaggi infatti, nonostante alcuni siano solamente tratteggiati, coinvolgono ulteriormente lo spettatore che riesce persino ad identificarsi meglio in personaggi alieni creati al computer  piuttosto che in quelli umani e reali; sicuramente una delle più grandi qualità del film. E’ necessario almeno accennare al grandioso lavoro svolto in pre-produzione per quanto riguarda la previsualizzazione delle creature e degli ambienti presentiAvatar poster 2 nel film e la loro conseguente realizzazione; la maniacale precisione con la quale sono stati creati questi elementi rende il tutto ancora più incredibile e vero; l’intento di creare un mondo possibile e non troppo esagerato ha dato risultati ottimali, difficili da ritrovare nella storia cinematografica passata. Critica abbastanza in contrapposizione con il resto scritto per quanto riguarda le musiche di Horner. Sicuramente non ci si poteva aspettare molto di più conoscendo le abitudini del compositore ma, a parte alcuni punti, le tracce risultano troppo ripetitive e ridondanti e troppo simili agli altri lavori di Horner. Purtroppo anche in questo caso ritroviamo il caratteristico danger motif.

I  temi presenti sono molteplici e, come già detto prima, ben inseriti nel contesto della storia. E’ facile trovare analogie con le vicende del mondo attuale e abbastanza evidente la critica che Cameron vuole fare soprattutto al riguardo dei conflitti attualmente in atto in medio-oriente; come anche molto presenti i temi ecologisti oggi molto di moda. Interessante anche la riflessione sulla sempre più evidente distanza tra uomo e natura e la contrapposizione di ciò con l’utilizzo della tecnologia; cosa che riguarda non solo il contenuto del film ma l’essenza del film in quanto prima di tutto figlio della tecnologia stessa.

Per finire non resta che consigliarvi di accettare l’invito di Cameron di portarvi per due ore e mezza in una nuova realtà, una realtà spettacolare dove vivere esperienze indimenticabili. Speriamo di non dover aspettare altri dodici anni per rivedere un film come questo al cinema.

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